Opern

www.operaclick.com, 12. November 2010
Non capita spesso di poter assistere a un allestimento de Die Soldaten di Bernd Alois Zimmermann, opera in scena in questi giorni alla Nederlandse Opera di Amsterdam. Questa partitura è, infatti, da sempre alonata da un’aura d’ineseguibilità e di problematica ricezione. Commissionata dal Teatro dell’Opera di Colonia e dedicata al direttore Hans Rosbaud, la prima versione dell’opera fu ritenuta impossibile da suonare tanto che il compositore dovette revisionare la partitura che poi fu eseguita per la prima volta solamente nel febbraio 1965 sotto la bacchetta di Michael Gielen.
Sicuramente questa partitura crea non pochi problemi dal punto di vista esecutivo richiedendo un organico orchestrale sterminato (al punto da far impallidire quello richiesto dalla straussiana Frau, includendo persino un’orchestra jazz sul palco), venticinque cantanti/attori più l’ausilio di elettronica e proiezioni. A questo si aggiunge una scrittura orchestrale improntata al più sfrenato e spudorato virtuosismo al punto che per buona parte dell’opera gli archi suonano a parti reali. Sotto a una scorza sonora fatta di aspre dissonanze e furibonde esplosioni sonore che in molti punti si avvicinano al rumore più assordante, si cela però una stringente logica compositiva che riesce raggiungere livelli espressivi altissimi fondendo elementi eterogenei. Il finale, dove il rombo registrato di cannoni e aerei si sovrappone all’ostinato rullare dei tamburi militari in una surreale evocazione della Revelge mahleriana, lascia letteralmente senza fiato.
Il linguaggio compositivo de Die Soldaten è saldamente ancorato nella dodecafonia della seconda scuola viennese e in quella di Webern e Berg in particolare, seppur filtrato dall’esperienza della scuola dei Kranichsteiner-Darmstädter Ferienkursen für Neue Musik pur senza condividerne gli aspetti più radicali. Die Soldaten sono un’opera di stampo puramente berghiano con Wozzek a modello supremo con il quale condivide il nome della protagonista femminile, Marie. Come il capolavoro di Berg, Die Soldaten è costruito su una successione di scene (quindici, lo stesso numero di quelle di Wozzek), ciascuna basata su una precisa forma musicale come la toccata, la ciaccona o il rondino usati però nell’ottica della Klangkomposition: stili musicali di epoche diverse (si va dal canto gregoriano al jazz e allo swing) si sovrappongono per dar vita a una partitura di ricchezza impressionante in un tripudio di evocazioni e citazioni, dalla sequenza del Dies irae ai corali dalla bachiana Matthäus-Passion.
Die Soldaten non sono certamente un’opera di fruizione immediata (ma, per quel che può significare, neppure gli ultimi Quartetti di Beethoven furono considerati tali al loro apparire e da molti non lo sono considerati neppure oggi...) ma sicuramente rappresentano un momento importantissimo nella storia della Musica della seconda metà del secolo scorso. A quasi cinquanta anni dalla composizione, Die Soldaten non possono essere certo definiti né moderni né tantomeno contemporanei, ma rientrano oramai nella storicizzata categoria dei classici. Il fatto che un’opera tanto complessa quanto misconosciuta al grande pubblico (credo che anche l’ascoltatore più smaliziato e volonteroso ceda di fronte al semplice ascolto discografico) strappi applausi a scena aperta conferma, in primis, il valore intrinseco di questa partitura e della sua capacità di comunicare e di avvincere il pubblico, in secundis quanto sia decisivo per la fruizione di pagine come questa il supporto di una perfetta realizzazione del dettato del compositore. Uso il termine perfetto perché mi pare l’unico in grado di riassumere compiutamente lo spettacolo firmato da Willy Decker per quanto riguarda la parte scenica e da Hartmut Haenchen per quella musicale.
La trama de Die Soldaten ruota attorno alla disastrosa relazione fra Marie, viziata figlia del facoltoso Wesener e il commerciante Stolzius. Incoraggiata dal padre, Marie allaccia una relazione con l’ufficiale Desportes ma, abbandonata da quest’ultimo, cede ai corteggiamenti di Mary. Stolzius perpetra la sua vendetta assassinando Desportes e poi suicidandosi mentre Marie è ridotta oramai al rango di puttana della truppa.
Willy Decker ha impostato uno spettacolo di grande eleganza e semplicità, optando per una scena unica (firmata da Wolfgang Gussmann), costituita da un grande parallelepipedo vuoto, e giocando sapientemente con l’uso dei colori (bianco per Marie, rosso per i soldati, giallo per la Duchessa) in un tentativo, a nostro avviso riuscito, di semplificare la complessa stratificazione narrativa dell’opera che prevede spesso eventi ambientati in luoghi e tempi diversi, inscenati contemporaneamente (retaggio della primeva idea del compositore, accantonata per motivi pratici, di allestire l’opera su dodici palcoscenici disposti attorno al pubblico). Decker chiede e ottiene una recitazione scarna ed essenziale ma improntata alla più grande fisicità. I soldati, ad esempio, si muovono come automi, ripetendo all’infinito gli stessi movimenti fino al parossismo in perfetto contrappunto con quanto avviene in orchestra a evocare il brutale straniamento della disciplina militare.
Orchestra ricchissima, abbiamo detto, che è allo stesso tempo accompagnamento e protagonista (i soldati sono “interpretati” anche dai percussionisti in scena), capace di suscitare un ventaglio larghissimo di situazioni emotive. Sopra ogni lode la prova della Nederlands Philharmonisch Orkest in vero stato di grazia, guidata dalla bacchetta saldissima di Hartmut Haenchen responsabile ultimo di una macchina sonora che di fronte a questa parete di sesto grado non ha presentato sbavatura alcuna.
Ogni interprete meriterebbe di essere nominato in virtù della prova invero maiuscola di tutto il cast, perfettamente all’altezza, vocalmente e scenicamente, del grandissimo impegno richiesto. Ci limitiamo a ricordare la Marie di Claudia Barainsky, il Wesener di Frode Olsen e lo Stoltzius di Michael Kraus come punte di diamante di un cast strepitoso.
Merita un viaggio ad Amsterdam.
Edoardo Saccenti