Aktuelles

24. März 2013

La Scala Mailand: Bravi für Hartmut Haenchen- "Grande esperto wagneriano" - "con l’ottima direzione di Hartmut Haenchen"

Die Premiere von Der fliegende Holländer von Richard Wagner unter der musikalischen Leitung von Hartmut Haenchen wurde zum Erfolg für Sänger und Dirigent. "...Hartmut Haenchen l'ha diretta con grande maestria..."

Die Premiere wurde hier live übertragen. Hartmut Haenchens Amsterdamer Produktion liegt auf DVD vor.

Trailer hier

Ausführende:
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala; Regie: Andreas Homoki, Daland: Ain Anger; Senta: Anja Kampe; Erik: Klaus Florian Vogt; Mary: Rosalind Plowright; Steuermann Dalands: Dominik Wortig; Der Holländer: Bryn Terfel.

www.lindro.it, 21. März 2013

Il M° Haenchen ha diretto con intensa compostezza uno spettacolo che ha potuto contare su di un’ottima prestazione dell’Orchestra e del Coro del Teatro alla Scala, in un perfetto connubio con le scelte di regia di Homoki, per la scenografia e i costumi di Wolfgang Gussmann.

www.drammaturgia.it, 18. März 2013

Buona, sebbene priva di slancio, la direzione di Hartmut Haenchen, che ha concentrato la sua attenzione sulla ricchezza dei colori orchestrali (l’orchestra e il coro – specie quello femminile - in splendida forma, come sempre di recente alla Scala).
Vincenzo Borghetti

Opera Magazine, 18. März 2013, (www.gbopera.it)

La direzione d’orchestra è certamente l’elemento più interessante dell’allestimento, perché Hartmut Haenchen compie scelte originali – quando non anticonformistiche – di perfetta coerenza. In primo luogo stacca tempi piuttosto pacati, e resta fedele a tale impostazione, realizzata sin dal preludio: alla ricerca non di solennità o di tono epico, bensì dei disegni e soprattutto dei colori orchestrali. La distensione dei tempi permette infatti al direttore di analizzare il dettaglio dei temi e delle figurazioni musicali, di far enunciare agli archi le loro parti in maniera calligrafica, e di far risaltare l’apporto di strumenti per lo più offuscati dal clamore degli ottoni, come i legni. Non l’immane tempesta risalta quindi nel preludio, ma un delicato tema di ondeggiamento marino, appunto affidato a oboe e clarinetto. Un grande merito del direttore è inoltre presentare tutte quelle eleganze di strumentazione e quei compiacimenti ritmici (nei pezzi d’insieme e nei canti popolari) che apparentano il Fliegende al Rienzi (prima ancora della cui première quasi tutta la musica della nuova “opera romantica” era già ultimata) e alla tradizione del grand-opéra francese, tanto quanto alla scrittura leitmotivica, alle sonorità telluriche e nibelungiche dei drammi a seguire. Non a caso è a firma dello stesso Haenchen un saggio del programma di sala, Sfinito da una vita insonne (Nota del direttore d’orchestra), sulla complicata questione filologica del Fliegende, sui sette periodi di composizione e di revisioni, sulle sostanziali quattro versioni del testo; il direttore si è avvalso della “Nuova Edizione Wagner” (NWA), che propone «la partitura della versione del 1860 e con le modifiche del 1864 (Monaco di Baviera)». L’esecuzione è una sorta di compromesso tra la “leggenda senza soluzione di continuità” (l’atto unico della Urfassung parigina, senza pause, come per lo più oggi si esegue) e l’opera in tre atti con le interruzioni tradizionali, perché l’atto I è isolato e seguito da intervallo; non è invece alcuna cesura tra II e III.
Michel Curnis

Le Monde

Hartmut Haenchen propose une direction musicale très en place, très précise, avec un orchestre globalement bien préparé ... un tempo assez rapide mais..

www.operaworld.es, 24. März 2013

Il secondo titolo Wagneriano scaligero della stagione dell’anniversario è andato in scena nel mese di marzo con l’ottima direzione di Hartmut Haenchen che ha utilizzato, per questa edizione, la partitura della versione del 1860 e con le modifiche del 1864. Il maestro tedesco: fra i migliori direttori wagneriani del momento, ha diretto splendidamente e con originalità l’orchestra. Una direzione, quella di Haenchen, che ha fatto risaltare i diversi colori e la complessità della partitura wagneriana eseguita con maestria dall’orchestra scaligera.

www.myword.it, 13. März 2013

Eppure Hartmut Haenchen l'ha diretta con grande maestria, coadiuvato da un coro magnifico e da cantanti di ottimo livello, come diremo. ...
Regia e scenografia dell’opera presentata alla Scala hanno penalizzato la prestazione del maestro Haenchen, del magnifico coro e dei cantanti, tutti di ottimo livello. Un allestimento di gusto tipicamente tedesco. ... Quanto al maestro, abbiamo detto, un wagneriano di tutto rispetto.
Piero Gelli

Aus einem Interview mit dem Steuermann dieser Aufführung: Dominique Wortig:
Westdeutsche Allgemeine Zeitung, 12. März 2013

"Bewusst hat Wortig einen bedeutenden Schwerpunkt seiner künstlerischen Arbeit dem Konzertrepertoire gewidmet. Mit Helmuth Rilling arbeitet er schon lange intensiv zusammen, Lothar Zagrosek und Michael Gielen sind weitere Dirigenten, die er schätzt - und Hartmut Haenchen, der den Mailänder „Holländer“ leitet. „Ich kannte ihn vorher nur als Mozart-Dirigenten. Er gestaltet den ,Holländer’ wahnsinnig durchsichtig und transparent, ohne dass er die Dramatik verliert. Wagner, richtig gelesen und dirigiert, ist keine Brüllnummer.“
Monika Willer

Guidizio Universale, 11. März 2013

Il direttore Hartmut Haenchen, nato proprio a Dresda, grande esperto wagneriano, con una interessante serie di testi musicali sull'autore di cui si celebra quest'anno il bicentenario della nascita, dirige con precisione filologica, a cominciare dalla timbrica violenza della sicurissima ouverture, questa partitura dal colore livido e tempestoso, un colore che non è veramente interrotto dalla cupa ballata di Senta - ottimamente interpretata in tutta l'estesissima gamma da Anja Kampe - e dal musical "interno" del secondo atto, ma semmai dai troppo melodrammatici duetti che lo concludono. Perché il meglio dell'Olandese, e Haenchen lo ha bene in mente, non sta qui, ma quando nasce e si diffonde la sua sublima monotonia, e nell'arte di scoprire il valore musicale dei silenzi.
Sergio Buttiglieri

La Prealpina, 9. März 2013

Almeno, sul podio c'è un direttore di lungo corso wagneriano come Haenchen, capace di guidare senza problem l'orchestra scagliera fino al termine della navigazione.
Luca Segalla

www.teatro.org, 9. März 2013

La concertazione di Hartmut Haenchen è tumultosa e incendiaria, soprattutto nell' impressionate ouverture di suoni impetuosi come quel mare del Nord in tempesta che aveva ispirato Wagner e da cui invece Homoki si è distanziato in modo siderale. Il direttore mantiene tempi serrati e materializza tempeste e fantasmi con irruenza controllata ma anche ottiene dolcezza di innamoramento e conforto nell' approdo, affetuoso o domestico. Haenchen propone un dettagliato studio della partiura nel programma di sala: sicuramente avrebbe giovato di più l'esecuzione in un unico atto, come anche la ragia lascia intendere (prima e dopo l'intervallo Sente è incantata davanti al quadro del mare in burrasca, rendendo evitabile la pausa).
Francesco Rapaccioni

http://garden-of-philodemus.blogspot.it, 9. März 2013

A orquestra foi dirigida por Hartmut Haenchen. Eu fiquei num camarote quase por cima dela, e gostei de observar a perfeita sincronia dos violinos. Aliás, ao contrário do que terá acontecido na estreia, não dei conta de desacertos. Assim, pude aperceber-me de algumas características desta ópera, que oscila entre o modelo italiano (os duetos, por exemplo, passariam bem por Verdi) e as frases longas e mesmo os fios condutores típicos de Wagner.

www.goleminformazione.it, 8. März 2013

... La direzione di Hartmut Haenchen era molto dinamica, piena di impeto, ritmicamente serrata, con contrasti sempre marcati e tempi spediti....

La Repubblica, 3. März 2013

... L'idea di isolare la dimensione romantica di Senta già nell' ouverture era ben realizzata dal direttore Hartmut Haenchen, altrove parso un po' sommaria seppure con finezze d'orchestra, e perfezionata con accenti trepidi e toccanti da Anja Kampe. ...
Angelo Foletto

Übersetzung: Die Idee der romantischen Dimension der Senta schon in der Ouvertüre herauszustellen, wurde überzeugend durch den Dirigenten Hartmut Haenchen herausgearbeitet

Il Sole, 24 ore, 3. März 2013

Haenchen, classe 1943, bacchetta cortissima, con una Ouverture concertata spicca, senza enfasi, ma piena di suono, rappresentava la prima sorpresa musicale della serata.
Carla Moreni

www.operalick.com, 3. März 2013

Nous ne croyons pas que le directeur Hartmut Haenchen ait éclairé autant que cela l’exécution. Cependant, la dynamique très serrée, inépuisée et dramatique, l’anxieuse inquiétude des amants, Senta et le Hollandais mais aussi celle d’Erik, et les contrastes marqués avec le tourbillonnement de l’orchestre ont été correctement soulignés.
A dire vrai, il nous a impressionné beaucoup dans l’ouverture plus que dans la suite, où certains passages nous sont apparus un peu trop métronomiques, par exemple la valse du duo Hollandais-Daland. Et il aurait pu prêter plus d’attention au volume de l’orchestre, déjà assez emphatique, vu les difficultés rencontrées par presque tous les chanteurs.
Les cuivres ont détoné dans certaines occasions, en perdant l’opportunité d’être plus incisifs dans leurs interventions éminemment magistrales. La furie des éléments - vent et mer houleuse – avec l’agitation des cordes représentant l’éternel errant et celle des cuivres l’inquiétude des esprits de l’Océan, s’est d’abord heurtée et opportunément apaisée ensuite dans l’oasis de poésie créé par le son admirable du cor anglais qui évoque le thème de la rédemption. Suffisamment déchirante la gravité des violes et des violoncelles sur le thème de la lassitude de la vie, mais toutes les cordes sont encore plus poignantes dans le découragement mélancolique de l'anxiété de la mort. La palette chromatique s’est enrichie en plus d’un éclat dans le chœur très joyeux des fileuses.
En dernier lieu la transparence de la transfiguration finale a été assez correcte mais pas enthousiasmante. En définitive, une bonne exécution.... Des applaudissements sincères à tous les chanteurs et au directeur d’orchestre...
Paolo Petrini

www.operaclick.com, 2. März 2013

Il direttore Hartmut Haenchen non crediamo abbia illuminato più di tanto la concertazione, ma indubbiamente la dinamica serratissima, inesausta e drammatica, l'inquietudine ansiosa degli amanti, non solo Senta e Olandese ma anche Erik, i contrasti marcati con il ribollire turbinoso dell'orchestra sono stati correttamente sottolineati.
Per la verità ci ha impressionato parecchio nell'ouverture più che nel prosieguo, dove alcuni passaggi ci sono apparsi un po' troppo metronomici, ad esempio il valzer del duetto Olandese-Daland. E forse qualche attenzione in più al volume orchestrale, già naturalmente enfatico, lo si poteva porre anche alla luce delle difficoltà mostrate da quasi tutti i cantanti.
La sezione degli ottoni ha stonato in qualche occasione, perdendo l'opportunità di essere più incisiva nella evidente maestosità degli interventi. La furia degli elementi - vento e mare in burrasca - con agitazione degli archi dell'eterno errare e gli ottoni inquieti degli spiriti dell'Oceano si è scontrata ed opportunamente placata con l'oasi di poesia creata dal bel suono del corno inglese che evoca il tema della redenzione. Sufficientemente straziante il cupo incedere delle viole e dei violoncelli del tema della stanchezza di vita, ma tutti gli archi suonano ancor più struggenti nel malinconico sconforto dell'ansia di morte. La tavolozza dei colori si è arricchita poi di una particolare brillantezza nel corso del coro delle filatrici, apparso finalmente gioioso. Da ultimo, corretta ma non entusiasmante la trasparenza della trasfigurazione finale. In definitiva, comunque, una buona prova.
Ugo Malasoma

Corriere del Ticino, 2. März 2013

Per fortuna c'è Wagner. Un Wagner romantico, intenso, appassionato, immedesimato in mari, venti, scogliere e fantasmi delle cupe leggende del nord.
Per fortuna che (dirige Hartmut Haenchen) ... restano la suggestione dell'Ouverture, la sortita del misterioso Olandese, i canti arcaici dei marinai. Restano la ballata di Senta, un'allucinazione che ti rapisce e t'accompagna per la vita, e gli accenti dell'amore fatale che unisce Senta e lo straniero nella morte e nella redenzione. Basta chiudere gli occhi.
Elsa Airoldi

Il Corriere musicale, 2. März 2013

Il direttore Hartmut Haenchen ha se non altro attaccato la tempestosa Ouverture con un impeto che rendeva subito l’idea della modernità della scrittura wagneriana, ma non si prodigava in grandi raffinatezze nel corso dell’opera, garantendo una lettura corretta che non puntava certo sui lati più intimistici.
Luca Chierici

l'Unità, 2. März 2013

Assai meglio vanno le cose dal punto di vista musicale: la direzione die Hartmut Haenchen è solida, vigorosa, un poco massiccia, vicina a una nobile tradizione.
Paolo Petazzi

Giornale della musica, 2. März 2013
Nonostante l'ouverture ben diretta da Hartmut Haenchen con l'orchestra scaligera in ottima serata (legni presenti e scanditi), evochi tempeste, arcani infernali, sogni d'amore ... Alla fine grandi applausi per tutto...
Stefano Jacini

Il Corriere Musicale
Ritratti • Il direttore d’orchestra, da tempo ospite dei grandi palcoscenici internazionali, racconta ai lettori del Corriere Musicale il suo rapporto privilegiato con la musica del compositore tedesco. Offrendone una inconsueta chiave di lettura

di Corina Kolbe

Hartmut Haenchen, direttore d’orchestra tedesco che con L’Olandese Volante ha appena debuttato al Teatro alla Scala, conserva della musica di Richard Wagner ricordi personali che risalgono fino alla sua infanzia. Nato a Dresda, Haenchen frequentò la stessa scuola del compositore, seppure a distanza di più di un secolo. «Conosco bene i luoghi a Dresda che hanno lasciato un’impronta su Wagner, anche in senso musicale» racconta il direttore che compierà 70 anni il prossimo 21 marzo e che ormai da decenni è accolto dai grandi palcoscenici internazionali.

All’età di dieci anni Haenchen entrò nel prestigioso Kreuzchor, prima di studiare direzione d’orchestra e canto al conservatorio della sua città. Pur vivendo nella Germania dell’Est poté proseguire una carriera sia nel suo paese sia all’estero, anche se si trovava spesso in contrasto con le autorità del paese comunista. In Germania lavorava non soltanto con la Sächsische Staatskapelle e con i Filarmonici di Dresda ma, tra le altre, anche con tutte le orchestre della capitale Berlino, dirigendo spesso il repertorio lirico alla Staatsoper e alla Komische Oper.

Da artista critico e scrupoloso che non si voleva far condizionare da imposizioni ideologiche, col passare degli anni subì sempre maggiori pressioni da parte dello stato. Dal 1980 praticamente non poté più esercitare la sua professione, ma sei anni dopo gli fu permesso di lasciare la Germania dell’Est per i Paesi Bassi dove divenne direttore musicale generale della Nederlandse Opera ad Amsterdam. Da allora le sue presenze negli importanti centri musicali del mondo sono diventate ancora più numerose, con un ampio repertorio che va dal barocco alla musica contemporanea e con registrazioni pluripremiate su cd e dvd di compositori quali, ad esempio, Carl Philipp Emanuel Bach, Joseph Haydn, Wagner e Gustav Mahler. Attualmente è direttore ospite all’Opera di Amsterdam nonché al Royal Opera House Covent Garden a Londra e al Teatro Real a Madrid. In Italia dove ha diretto in città come Genova, Bologna, Palermo e Napoli recentemente è stato festeggiato sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma.

Avendo eseguito con successo tutto il Ring di Wagner nonché altre sue opere come Tannhäuser, Parsifal e Tristan und Isolde non poteva mancare alle celebrazioni per il bicentenario. Agli impegni in Germania e ad Amsterdam dove in questa stagione dirige di nuovo l’integrale del ‘Ring’ si sono aggiunti inviti a dirigere Wagner alla Scala e al San Carlo di Napoli. «Durante le mie tournée mi sono sempre reso conto che il pubblico italiano apprezza molto Wagner. Si potrebbe parlare di una vera passione», ha detto Haenchen prima di debuttare con l’Olandese Volante a Milano. «È una musica con una grande carica emotiva che qui ovviamente piace molto. Nei confronti di Bruckner il pubblico rimane invece distante, è una musica più razionale che in un certo senso si avvicina alla matematica».

Haenchen si ricorda bene le recenti polemiche sulla scelta della Scala di aprire la stagione con Lohengrin di Wagner e non con un’opera verdiana. «Sembrava addirittura un sacrilegio, soprattutto perché quest’anno si festeggia anche il bicentenario di Verdi. Eppure sono due compositori molto diversi che non dovrebbero essere visti in concorrenza uno con l’altro». Tuttavia per Haenchen i legami tra Wagner e la musica italiana sono evidenti, soprattutto nelle sue prime opere. «L’Olandese Volante è un bel esempio. Nel coro delle donne si riconosce chiaramente l’influsso dell’opera lirica italiana. Allo stesso tempo Wagner rompe con questo modello, fa nascere una nuovo mondo».

Il direttore ricorda di aver visitato diverse località italiane che ispirarono Wagner, ad esempio Ravello dove il compositore trovò spunti per il giardino di Klingsor in Parsifal. «E nelle sue scenografia il Duomo di Siena si univa alla Frauenkirche di Dresda. Là si percepisce un mondo europeo, come tra l’altro anche negli scritti di Wagner», spiega Haenchen. «Spesso si dice che lui voleva sempre mettere in risalto il patrimonio culturale tedesco. Ma non è vero! L’ha fatto soltanto quando ancora non esisteva una Germania unita. Io lo vedo invece come un visionario europeo».

deutsche Textversion des Programmheft-Beitrages von Hartmut Haenchen:
„Lebensübernächtig“
Richard Wagners Der Fliegende Holländer, zur Aufführung an De Nederlandse Opera, Amsterdam 2010 und La Scala, Mailand 2013

So sehr im Fliegenden Holländer die traditionellen Formen der Oper, die Wagner von Beethoven, Weber, Marschner und anderen kannte, noch eine Rolle spielen und die Oper noch weitgehend in abgeschlossene Nummern eingeteilt ist, die von Formen wie Arie, Ballade, Rezitativ, Duett, Chor geprägt werden, so deutlich kündigt sich bei dem Werk, welches noch vor der Uraufführung des Rienzi konzipiert wurde, schon der spätere Stil Wagners an. Er selbst bezeichnete diese „Romantische Oper“ als ganz „anderes Genre“. Er war sich bewusst, dass er im Gegensatz zur bisherigen Operntradition eigentlich „in einem Zuge fort die Sage erzählen“ musste.

Im Mittelpunkt des Schaffensprozesses stehen als wesentliche Neuerungen nicht nur die genaue Charakterisierung der Figuren und Situationen durch Leitmotive, sondern auch deutlich jene Gedanken, die Wagner in den 1840er-Jahren in Dresden auf die Barrikaden trieben. Man muss sich immer wieder vergegenwärtigen, dass in dieser Zeit der Holländer wirklich „moderne Musik“ war. Selbst die berühmte Darstellerin der Senta (für welche die Ballade schon von Wagner einen Ton nach unten transponiert wurde) rief in der Orchesterprobe aus: „Ich kann und kann mit dem Zeug nichts anfangen“. Die neue musikalische Welt musste sich alles erst hart erarbeiten. Wagner: „Ich machte mich daher darauf gefaßt, zu erfahren, daß das Publikum sich erst nach mehreren Vorstellungen mit dem, was ich biete, befreunden können würde.“ Schließlich war er aber von „seiner“ Senta überzeugt, denn „sie gab diese Rolle mit so genial schöpferischer Vollendung, daß ihre Leistung allein diese Oper vor völligem Unverständnisse von Seiten des Publikums rettete, und selbst zur lebhaftesten Begeisterung hinriß.“

Da ist einmal die primitive, bürgerliche und überholte Welt des Daland, die sich in traditioneller Terzenseligkeit ergießt, und – wenn man genau hinschaut – erstaunliche Verquickungen aufweist: Das „Spinnmotiv“ der Mädchen ist im Kopfmotiv zum Beispiel identisch mit dem „Segelmotiv“ der Daland – Mannschaft, um den gesellschaftlichen Zusammenhang zwischen diesen Mädchen und den Matrosen, auf die sie warten, auszudrücken. Wie negativ dieses Motiv belegt ist, zeigt das Zitat dieser musikalischen Formel als „Teufelskrallenmotiv“ sowohl im Holländer als auch später im Lohengrin. All dies spielt sich aber in einfacher Tonalität ab.

Ganz anders die Welt des Holländers. Um die beiden Arbeitswelten zu verknüpfen, wird hier zwar die Mannschaft beim Segeln mit dem gleichen Motiv bedacht, allerdings auf chromatisch fallenden Grundtönen. Damit werden wir unmittelbar in die andere Klangwelt des Holländers eingeführt, die sich in der Tonart von Don Giovanni (und der von Beethovens Neunter Sinfonie), nämlich d-Moll, manifestiert, sowie in einer bereits sehr stark ausgeprägten Chromatik. Das „Motiv der Heimatlosigkeit“ des Holländers ist das wohl am weitesten entwickelte, denn es besteht aus verminderten Septimenakkorden mit Vorhaltsrückungen, die eine harmonische Unbestimmbarkeit erzeugen, also eine musikalische Heimatlosigkeit. Hier finden wir schon den späten Wagner am Rande der Tonalität. Am Anfang des Holländer-Monologs erklingt das „Motiv des Überdrusses“ mit der Figur der „letzten Welle“: Die tödliche Einsamkeit des Holländer wird ebenso mit Chromatik und vor allem mit dem – in barocker Tradition stehenden -„Teufelsintervall“, dem Tritonus (Drei-Ton-Abstand), ausgedrückt. Neu ist auch die Transzendenz des D-Dur der Erlösungsthematik, die Wagner in den späteren Fassungen des Werkes noch ausweitete. Aber auch die ersten Ansätze des Ring sind schon im Stück zu finden. Das „Motiv des Gesetzes“ ist im Holländer fast identisch mit dem „Vertragsmotiv“ aus dem Rheingold, und das „Motiv resignierender Trauer“ kommt in Walküre wieder als „Unmutsmotiv“ zurück.

Interessant ist, dass die Ouverture sich musikalisch fast ausschließlich mit dem Schicksal des Holländers beschäftigt: Sie zeigt die „mitleidsvollen Klänge dieser Heilsverkündigung" und die „Mannschaft, matt und lebensübernächtig" mit dem Holländer, der versucht, seinen Untergang zu erzwingen, da er hier „mit Flut und Sturm gemeinsam wider sich“ wütet. „Aus furchtbarem Elend schreit er da auf nach Erlösung“ und schließlich erschloss sich ein Herz in seiner „unendlichsten Tiefe dem ungeheuren Leiden des Verdammten: es muß sich diesem opfern, vor Mitgefühl brechen, um mit seinem Leiden sich zu vernichten. Vor dieser göttlichen Erscheinung bricht der Unselige zusammen, wie sein Schiff in Trümmern zerschellt; der Meeresschlund verschlingt dies: doch den Fluten entsteigt er, heilig und hehr, von der siegprangenden Erlöserin an rettender Hand der Morgenröte erhabenster Liebe zugeleitet.“

Den großen Teil des Fliegenden Holländer komponierte Richard Wagner im Alter von 28 Jahren. Die Komposition war also bereits ein Jahr vor der Uraufführung des Rienzi in der ersten Version vollendet. Insgesamt aber gibt es sieben Stadien von 1841, 1843, 1844, 1846, 1852, 1860, 1864, welche die Entwicklung des Werkes zeigen und die man in vier wesentlich unterschiedliche Fassungen einteilen kann.

- Erste Fassung: Die Urfassung des Partiturautografs von 1841.
Eine einaktige Fassung, also mit pausenlosem musikalischem Übergang zwischen den drei Akten und ohne die „Verklärungsmusik" am Ende der Ouverture und am Schluss der Oper. Der Erlösungsgedanke, der später bei Wagner eine große Rolle spielen sollte, trägt hier noch nicht die Idee der Verklärung in sich. Mit einer harten, holzschnittartigen Instrumentierung, die auf den Blechbläsern basiert, ist der Klang weit entfernt vom ausgeschmückten, weicheren Klang späterer Werke. Die Ballade der Senta steht einen Ton höher und gewinnt dadurch mehr den Charakter des Traumbildes, des Unerreichbaren. An Stelle des Schauplatzes an der norwegischen Küste, wie in den späteren Versionen, spielt das Stück in Schottland. Daland heißt hier Donald, Erik ist Georg. Über 140 Jahre dauerte es, bevor zum Beispiel die so berühmte Ballade der Senta in ihrem ursprünglichen Klangbild und der ursprünglichen Tonart in Partitur vorlag und somit auch wieder aufführbar wurde.

- Zweite Fassung: Diese Fassung lag der Dresdner Uraufführung vom 2.1. 1843 zugrunde. Wagners Erfahrungen mit dem konservativen Dresdner Publikum veranlassten ihn, dem Publikum schon bei der Uraufführung auch die geforderten Pausen zu geben. Er veränderte das Werk zu einer dreiaktigen Oper. Die Ballade musste er um einen Ton tiefer setzen, da die Sängerin der Senta, Wilhelmine Schröder-Devrient, die Partie in der vorgesehenen Lage nicht bewältigte. Für einen jungen Hofkapellmeister mit Finanznöten war jedoch die Aufführung wichtiger als das ursprüngliche Konzept. Man darf nicht vergessen, dass Wagner sein fertiges Textbuch noch ein Jahr vorher aus finanzieller Not in Paris an den Komponisten Pierre Louis Philippe Dietsch verkauft hatte, und das Werk unter dem Titel Le Vaisseau fantôme 1842 in Paris uraufgeführt wurde. Der Erstdruck der Partitur und des Klavierauszuges von 1844 unterscheiden sich nur geringfügig von der Uraufführungsversion. Da aber nur 25 Exemplare der Partitur gedruckt wurden, ist auch diese Fassung, die in der Instrumentierung noch sehr der ersten ähnlich ist, kaum bekannt.

- Dritte Fassung: 1846 arbeitet Wagner die gesamte Instrumentation des Werkes für eine in Leipzig geplante Aufführung um und nähert sich damit dem heute bekannten weicheren Klangbild der Partitur. Er selbst befand, dass er „oft zu stark aufgetragen habe“. 1852 nimmt er weitere Umarbeitungen für eine von ihm selbst dirigierte Aufführung in Zürich und für die geplante, 1853 von Franz Liszt realisierte Aufführung in Weimar vor. Eingriffe in die musikalische Substanz gab es jedoch bei dieser Umarbeitung nicht. Es basiert also alles strukturell auf der zweiten Version der Uraufführung von Dresden. Trotzdem war er mit diesen Änderungen nicht zufrieden. Wagner beschreibt dies sehr eindringlich in einem Brief an Theodor Uhlig im März 1852: „Ich wollte diese partitur anfänglich recht ordentlich durcharbeiten: näher besehen hätte ich aber die Instrumentation, wenn ich sie meinen jetzigen Erfahrungen gemäß herstellen wollte, meist total umarbeiten müssen... Um z.b. das Blech durchgehens auf ein vernünftiges Maaß zurückzuführen, hätte ich konsequenter Weise Alles umzuändern gehabt, denn das Blech war hier eben nicht nur Zufälligkeit, sondern es lag in der ganzen Art und Weise, nicht in der Instrumentation, sondern selbst der komposition so bedingt. Wohl verdroß mich die Einsicht, aber – lieber gestehe ich nun den fehler ein, als dass ich ihn ungenügend verbessere: Nur wo es rein überflüssig war habe ich daher das blech etwas ausgemerzt, hie und da etwas menschlicher nüancirt, und nur in der Ouverture den Schluß gründlich vorgenommen. Ich entsinne mich, daß gerade dieser Schluß mich in den Aufführungen immer sehr verdroß: jetzt, denke ich, wird er meiner ursprünglichen Absicht richtig entsprechen.“

Für die Züricher Aufführung schrieb er seine grundlegenden „Bemerkungen zur Aufführung der Oper Der Fliegende Holländer.“ Dort legt er noch einmal ausführlich dar, dass ihm, der ja auch später weniger dirigierte und mehr inszenierte, an der genauen Übereinstimmung zwischen Szene und Musik lag. Er skizziert noch einmal die Figuren, wobei er weit über die Partitur hinausgehende Anweisungen für den Monolog des Holländers gibt, die er szenisch sogar auf das Viertel genau anweist. Dabei ist ihm die Schilderung seiner Leiden wichtiger als die eigentliche Leidenschaft. Senta versteht er als das Mädchen, welches „selbst in ihrer anscheinenden Sentimentalität durchaus naiv“ ist. Sie ist ein Produkt ihrer nordischen Umwelt, welches „den Trieb zur Erlösung des Verdammten“ hervorbringt: „Dieser äußert sich bei ihr als ein kräftiger Wahnsinn (…) Erik soll kein sentimentaler Winsler sein: er ist im Gegentheil stürmisch, heftig und düster.“ Schließlich will er Daland nicht komisch haben, und der „Verkauf seiner Tochter an einen reichen Mann“ soll „durchaus nicht als lasterhaft erscheinen: Er denkt und handelt, wie Hunderttausende, ohne im Mindesten etwas übles dabei zu vermuthen“.

Für den Dirigenten sind natürlich die reichlichen zusätzlichen Tempoanweisungen wichtig, die sich mit früher gemachten Erfahrungen des Autors decken: Trotz der zahlreichen vorgeschriebenen portamenti will Wagner keine Sentimentalitäten, sondern flüssige Tempi, welche die Geschichte erzählen. Bestes Beispiel ist die Einleitung zum Holländer-Monolog, wo Wagner schon allein durch die Regieanweisung angibt, dass die Figuren der tiefen Streicher Wellenbewegungen sind. Diese dürfen natürlich nicht zu langsam genommen werden, da sie sonst als solche nicht wahrnehmbar wären, dies steht also im Gegensatz zur heute üblichen Aufführungstradition. Interessant auch der Wunsch Wagners, den Chor der Holländer-Mannschaft nicht nur durch Sprachrohre singen zu lassen, sondern entgegen der Partituranweisung (dort hinter der Szene) für die kräftigere Wirkung den Chor auf die Bühne zu bringen.

- Vierte Fassung: Die Fassung von 1860 bringt beinahe zwanzig Jahre nach der Entstehung des Werks die vorher schon beschriebene entscheidende musikalische Änderung. Wagner komponiert den so genannten „Verklärungsschluss" oder auch „Tristan-Schluss" am Ende der Oper, den er logischerweise auch am Ende der Ouverture einsetzen muss. Diese Version dirigiert Wagner selbst in Paris. Mit der Veränderung seiner weltanschaulichen Ideen fügt er jetzt also eine versöhnliche Musik ein, die dem ursprünglichen Konzept dieser Oper diametral gegenübersteht, obwohl die „Verklärung“ seit dem Textbuchentwurf bereits in der Regieanweisung stand, allerdings keine musikalische Entsprechung hatte.

Das Werk wurde vor allem jedoch in einer merkwürdigen Mix-Version bekannt, die auf der Ausgabe des Dirigenten Felix Weingartner von1896 basiert und im Wesentlichen auf die vierte Fassung, teilweise aber auch auf frühere Fassungen zurückgreift. Dabei wurde behauptet, dass es sich um die Fassung „letzter Hand" handelt. Wie wenig das tatsächlich stichhaltig ist, kann man in den mündlichen und schriftlichen Zeugnissen Wagners nachlesen, der es ebenso wie beim Tannhäuser als seine Aufgabe ansah, das Jugendwerk noch einmal einer endgültigen Revision oder gar Neukomposition zu unterziehen.

In Bayreuth ist in verschiedenen Aufführungen versucht worden, wenigstens die Grundidee von Wagner, die spannende einaktige Fassung ohne „Verklärungsschluss", aufzuführen. Mangels der notwendigen Partitur der Ersten Fassung und des notwendigen Orchestermaterials entstand dabei eine Kompromissfassung, da weder der Handlungsort verlegt wurde, noch die ursprünglichen Tonarten möglich waren und die Instrumentierung der späten Fassung erklang. Die dramatische Wucht des Werkes in dieser Grundstruktur wurde jedoch deutlich.

Eine durchaus sinnvolle Fassung, die aber nur bedingt auf Wagner zurückgeht, weil sie uns so nicht direkt überliefert ist, ist die häufig gebrauchte vierte Version mit dem „Verklärungsschluss" und der späten Instrumentierung, die aber die dramatische Kraft des Zusammenziehens der drei Akte auf einen Akt benutzt. Wagner hatte die Aufteilung in die drei Akte nur vorgenommen, um den Publikumswünschen entgegenzukommen. Dramaturgisch empfand er diese Versionen immer gegen seinen eigentlichen Willen und er fragte sich auch später immer wieder, ob denn die Pausen nicht die Spannung zerstören. Es ist also durchaus im Sinne Wagners, heute seine eigentliche Intention durchzusetzen und das Werk ohne Pause zu spielen.

1878 versuchte Wagner eine Schule für „Sänger, Sängerinnen und Musiker im Allgemeinen“ zu gründen, wo er in seinem „Lehrplan“ für das dritte Jahr auch den Fliegenden Holländer eingeplant hatte. Leider ist diese Schule nicht verwirklicht worden. Interessant sind in diesem Zusammenhang Wagners Änderungen am Notentext für bestimmte Sänger, die er wie selbstverständlich vornahm, wenn nur der Ausdruck stimmte. Franz Betz, der für Wagner Sachs und Telramund war, antwortete er auf seinen besorgten Hinweis, dass er bestimmte tiefe Noten nicht singen könne: „Dann aber auch machen Sie sich Skrupel über tiefe Noten? Das ist nun eben „Opern-Philisterei“. Kann es einem vernünftigen Dramatiker je darauf ankommen, seine Sänger durch tiefe d’s und h’s u.s.w. brillieren zu lassen?“

Für unsere Amsterdamer und Mailänder Produktion sind wir aufgrund der Neuen Wagner-Ausgabe in der glücklichen Lage, mit der Partitur der Fassung von 1860 mit den Modifikationen von 1864 (München) eine Grundlage bekommen zu haben, die tatsächlich die Fassung „letzter Hand“ (sicher ebenso wie beim Tannhäuser nicht „letzten Willens“) darstellt. Denn immer wieder sagt Wagner, dass er den Fliegenden Holländer umarbeiten will, sogar noch 1880. Dabei verfuhren wir nicht nach dem Buchstaben sondern nach dem Geist. Wenn Wagner in München beispielsweise in der Rolle des Holländer eine Reihe von Spitzentönen nach unten verlegte, so haben wir das nicht übernommen. Man muss dazu wissen, dass in München damals ein erheblich höherer Kammerton genutzt wurde und somit einige Töne für die Sänger zu hoch wurden. Verfechter der „authentischen Aufführungspraxis“ sollten solche Dinge wissen, wenn zum Beispiel die Walküre heute auf CD erscheint und unter dem Label „historische Aufführungspraxis“ verkauft wird, weil sie eine Terz tiefer gespielt wird, als es derzeit üblich ist. Dabei wird verschwiegen, dass dies eine grobe Verfälschung ist, denn man hört dann dieses Werk, welches in München uraufgeführt wurde, fast eine Quarte tiefer als damals. Bei jeder Änderung Wagners ist also nach dem Grunde zu fragen. Wenn es eine Weiterentwicklung ist - wie zum Beispiel die Münchner Reduzierung der für Wagners Begriffe altmodischen Sängerkadenzen und die Festlegung der Fermatenlängen oder zusätzlich eingefügte Takte, um das formelle Gleichgewicht herzustellen - haben wir sie in unsere Aufführung hineingenommen. Waren es Änderungen, die der Zensur des Textes geschuldet oder örtlichen Unzulänglichkeiten Rechnung getragen haben, ließen wir sie weg.
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